Questa lezione riguarda la concupiscenza e gli ultimi due comandamenti. Il termine concupiscenza indica un desiderio forte o intenso. Nella tradizione filosofica occidentale, la concupiscenza è una componente essenziale della struttura antropologica ed etica dell’essere umano. La ritroviamo in Platone (nel Fedro) nella famosa allegoria dell’auriga (il condottiero che deve guidare un carro trainato da due cavalli difficili da domare). Con un significato analogo la ritroviamo anche nella divisione delle parti dell’anima offerta da Aristotele.
In termini etico-antropologici “concupiscenza” non ha un
significato negativo. Nella sua accezione più ampia indica l’inclinazione al
bene come piacevole che in sé non è cattiva ma deve essere informata dalla
ragione.
In teologia, il significato di concupiscenza si nutre
dell’accezione filosofica positiva ma assume per lo più un significato
negativo. Indica infatti il disordine nei nostri appetiti che deriva dal
peccato originale.
San Giovanni distingue nella sua prima lettera tre forme di
concupiscenza: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la
superbia della vita (1 Gv 2,16). La tradizione cristiana ha visto in questa
triplice distinzione la radice di ogni possibile peccato. Inoltre, ha
interpretato alla luce di questi tre significati sia il peccato di Adamo ed Eva
sia le tentazioni di Gesù nel deserto. Gesù, come nuovo Adamo, resiste a quelle
tre tentazioni a cui Adamo non aveva resistito e che racchiudono tutte le possibili
tentazioni dell’uomo.
La triplice concupiscenza è oggetto degli ultimi due
comandamenti, i comandamenti del desiderio, che in quanto tutelano le nostre
buone intenzioni riassumono “tutti i precetti della legge” (Catechismo della
Chiesa Cattolica n. 2534).
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